Sofia a tutto tondo, è una Goggia che già pensa ai Giochi: "Alle Olimpiadi vado in missione, non per farmi amici"

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Sofia a tutto tondo, è una Goggia che già pensa ai Giochi: "Alle Olimpiadi vado in missione, non per farmi amici"

In una lunga intervista a GQ Italia, la campionessa olimpica 2018 ha parlato della sua mentalità, anche al di fuori dell'agonismo, dei suoi recuperi e di Milano Cortina 2026, con un obiettivo chiarissimo in testa.

Mancano meno di 7 mesi alla discesa olimpica che aprirà il programma delle gare femminili dei Giochi di Milano Cortina, domenica 8 febbraio 2026 sull’Olympia delle Tofane che, per Sofia Goggia, è una pista molto speciale pensando innanzitutto a quel pettorale rosso di discesa (mai conquistato prima) nel 2018 con la prima delle quattro vittorie, l’ultima poi arrivata lo scorso gennaio.

Eppure, Cortina è anche il luogo dell’infortunio in super-g del 2022, a neppure tre settimane dalle Olimpiadi di Pechino, un anno dopo aver saltato i campionati del mondo nella conca ampezzana per quanto accaduto a Garmisch pochi giorni prima.

I Giochi di casa del 2026 sono già pensieri di Sofia, l’ha fatto intendere chiaramente lei stessa nel servizio pubblicato (con tanto di shooting) quest’oggi da GQ Italia, che ha dedicato la sua cover “Come nasce un’icona” alla fuoriclasse bergamasca. Si sente un’icona la discesista più vincente (alla pari di Dominik Paris) della storia azzurra? Ecco la risposta al collega Alfonso Fasano che l’ha intervistata per il magazine, nel cuore di un’estate che sta andando molto bene, sul piano della preparazione, per una Goggia ben diversa da quella del 2024 post crac di Ponte di Legno. “Personalmente non mi sento un’icona, mi sento una ragazza normalissima che ha tutti i riflettori puntati addosso grazie ai risultati che ha conseguito quando va sugli sci – le parole di Sofia – Probabilmente sono riuscita a impormi fuori dal mondo dello sci e dello sport grazie al mio carisma, alla mia personalità forte.

Non solo per le gare che ho vinto e per le medaglie che ho conquistato, ma per il modo in cui ho ottenuto tutti i miei successi”.

Un percorso agonistico complicato maledettamente dagli infortuni: “Ho subito tante operazioni, eppure mi sono sempre rialzata. E il motivo è che, dopo ogni caduta, sentivo di non aver ancora finito, di avere ancora tanto da dare al mio sport. Come quella volta a dicembre 2022: faccio una gara a Sankt Moritz, alla quarta porta mi rompo una mano, scendo brancolando nella nebbia e arrivo al secondo posto (alle spalle di Elena Curtoni nella prima discesa, ndr). Mi faccio operare poche ore dopo a Milano, alle sei del mattino successivo sono di nuovo a Sankt Moritz e dico di voler gareggiare”. E vincerà, naturalmente.

Animo rock? Sofia la vede così: “Forse sì, in fondo ho un’anima rock, ma viene fuori solo in certi aspetti della mia vita. In verità penso di essermi addolcita col passare degli anni, e poi nel tempo libero strimpello il pianoforte, mi piace stare a contatto con la natura, condividere delle esperienze con le persone che amo, dare qualità alla mia vita. Mi sembrano delle cose abbastanza normali, non così rock”.

Il capitolo olimpico, dopo aver perso la prima vera chance nel 2014, per poi debuttare con il botto (anche se qualche giorno prima aveva sprecato una grande opportunità in super-g, oltre ad un gigante non facile) a PyeongChang 2018 con quello storico titolo in discesa, prima dell’argento di Pechino 2022 in condizioni fisiche precarie, è sempre speciale e unico per Goggia. “Alle Olimpiadi è tutto diverso, tu di solito in Coppa del Mondo arrivi al cancelletto di partenza e ti ritrovi i loghi degli sponsor. Ai Giochi no, sei lì prima della gara e ti ritrovi i Cinque Cerchi davanti agli occhi. Per me quell’immagine ha sempre avuto un fascino straordinario, irresistibile.

Quando ci sono arrivata, dentro di me è scattato qualcosa, è come se ci fosse stato un cambiamento. Invece di fare come tantissimi atleti, che in quei momenti si trovano a fare i conti con la pressione che si mettono addosso e spesso finiscono per farsi schiacciare, io ho pensato che le persone importanti della mia vita mi avrebbero voluto bene comunque, a prescindere da quella gara. Così mi sono alleggerita di un carico enorme, così ho capito che arrivata a quel punto si trattava di giocare.

In fondo parliamo di Giochi Olimpici, no?”.

Atmosfera differente, sì, ma che rende la classe ’92 di Astino ancora più concentrava e “cattiva”, sportivamente parlando, del solito. Le parole della diretta interessata sul tema sono limpide: “Quando ci sono i Giochi lo spirito olimpico si sente nell’aria, è inevitabile, ma io non mi sono mai fatta contagiare davvero.

Ho sempre vissuto quei giorni in modo anomalo, non ho mai conosciuto nessuno perché non ho voluto conoscere nessuno, ho sempre portato cuffie isolanti e gli unici atleti con cui ho interagito sono stati quelli che erano in palestra e che stavano finendo di usare degli attrezzi che mi sarebbero serviti di lì a poco. Stop, basta, nessun altro contatto. Chissà, forse è andata così perché alle Olimpiadi ho avuto sempre delle chances concrete di vittoria, e allora ho preferito rimanere concentrata su me stessa, su quello che avrei dovuto fare per vincere.

Riflettendoci a freddo, posso dire di aver rifiutato quella sorta di vampirismo energetico che deriva dalla socialità forzata. Per me è un po’ come il canto delle sirene: sono molto competitiva, e quindi alle Olimpiadi non ci vado per farmi degli amici. Io alle Olimpiadi ci vado in missione”.

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