In casa Rai un panel sulla sicurezza con tanti ospiti: "Non è logico che la gara venga considerata più dell'allenamento"

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In casa Rai un panel sulla sicurezza con tanti ospiti: "Non è logico che la gara venga considerata più dell'allenamento"

Nel corso dell'ultima puntata dell'anno di "Road to Milano Cortina 2026", un approfondimento importante sul tema, per evitare che i drammi di Matilde Lorenzi e Matteo Franzoso possano ripetersi. Nello studio condotto da Sabrina Gandolfi, ecco tutti i pareri di Adolfo Lorenzi, Alessandro Garrone, Karen Putzer, Paolo De Chiesa, Xavier Jacobelli e l'avvocato Francesco Persio.

Un vero e proprio panel sulla sicurezza, una trasmissione quasi interamente dedicata al tema più delicato nell’attualità del grande sci, dopo quanto abbiamo vissuto negli ultimi anni.

E’ quanto la Rai, nel corso dell’ultima puntata dell’anno di “Road to Milano Cortina 2026”, ha voluto realizzare coinvolgendo tanti ospiti importanti, nello studio condotto magistralmente dalla collega Sabrina Gandolfi; dalla voce dello sci Paolo De Chiesa, al giornalista Xavier Jacobelli, con la presenza di Karen Putzer e del presidente dello Sci Club Sestriere, Alessandro Garrone, che negli scorsi mesi ha pianto, dopo averli visti crescere nella realtà che guida da oltre un ventennio, due stelle come Matilde Lorenzi e Matteo Franzoso.

E in collegamento sono intervenuti il papà di “Mati”, Adolfo Lorenzi, e l’avvocato Francesco Persio, che nel 1969 (a soli 12 anni) ha subito un gravissimo incidente sugli sci e ha speso una vita sul tema sicurezza.

“Presiedo lo S.C. Sestriere da 21 anni, una realtà di cui anche Paolo è stato guida – ha detto Garrone riferendosi a De Chiesa, in apertura del suo intervento – Avevamo questi due ragazzi straordinario, Matilde e Matteo, e per loro e tutti gli atleti che sciano ci stiamo muovendo da tempo, sperando che la normativa ci segua. L’equazione è complicatissima, lo voglio chiarire, perché ci vanno di mezzo i gestori degli impianti e mille variabili, perché c’è la necessità di fare andare avanti questo sport in un paese come il nostro, il più ricco di montagne, ma con la sicurezza che non può che essere il primo elemento.

Il rischio deve essere controllato, e bisogna lavorare dai dispositivi per gli atleti alla protezione delle piste; sottolineo un fatto, ovvero che è evidente come in termini di obblighi, la gara venga ancora considerata in maniera completamente differente dall’allenamento, e non è logico visto che ci sono molte più discese e tracciati proprio in preparazione alla gara stessa, è più pericoloso e non capisco perché non si debbano indossare i dispositivi di sicurezza, come tuta anti taglio e airbag, anche se il tema dei costi non è banale e facile, ma su di esso si possono trovare formule sostenibili”.

Karen Putzer, una delle atlete simbolo dello sci italiano a cavallo del nuovo millennio, ha parlato di quanto sia cambiato il movimento dai suoi tempi: “Io ho sempre amato la velocità, so bene che da atleta sei programmato ad andare il più rapidamente possibile e rischiare, il tema è ampio e mai potremo avere la sicurezza assoluta, ma ciò che vedo cambiato è almeno la possibilità degli atleti di avere voce un capitolo, è assolutamente un bene che vengano coinvolti nella discussione (riferendosi anche alle parole di Mikaela Shiffrin dopo lo slalom di Semmering, ndr).

Ricordo ancora quando correvo che non potevi dire nulla se la pista era troppo difficile e non te la sentivi. I materiali? Il problema è che non si parla ancora di un cambiamento dello sci, pare che la prossima primavera la FIS voglia intervenire sugli scarponi, le velocità ormai sono impressionanti e la differenza è che prima erano più difficili da girare, quindi si andava più piano in ogni ambito. Inoltre eri abituata dalla Coppa Europa a correre in condizioni difficilissime, mentre ora la maggior parte delle piste sono perfette e viene a mancare anche quel tipo di situazione”.

Nel corso della trasmissione, è stata mandata in onda anche l’intervista realizzata da Simone Benzoni, nei giorni scorsi, con Johan Eliasch. Il numero 1 della FIS ha definito la sicurezza “la mia priorità assoluta, convinto che si possa fare molto di più e per questo stiamo lavorando duramente su progetti specifici. In primis la tecnologia con caschi più evoluti, airbag e la lavorazione delle piste, dai punti di pericolo alle compressioni e le zone d’ombra. Tutto ciò che possiamo fare, vi assicuro che lo faremo”.

“Le tragedie di Matilde e Matteo hanno imposto allo sci di fermarsi – le parole di Paolo De Chiesa, che avremo ospite questa sera su NEVEITALIA (dalle ore 18.30 con “Ghiaccio Verde”) per approfondire ulteriormente il tema – Il caso Lorenzi ci dice che su quel ghiacciaio non c’erano i requisiti minimi di sicurezza, il tracciato era troppo vicino al bordo pista, delimitato da un muretto di neve dura e col dirupo adiacente. Purtroppo lo sci non si è fermato, dopo quel 28 ottobre 2024, se fosse successo probabilmente la seconda tragedia, quella di Matteo Franzoso, non ci sarebbe stata regolamentando la sicurezza sulle piste di allenamento.

Sono due ragazzi morti allenandosi con la nazionale, la staccionata contro la quale ha impattato Matteo (nel training dei velocisti a La Parva, in Cile, lo scorso 13 settembre) non ci sarebbe stata o sarebbe stata protetta adeguatamente, non con due reti inesistenti. E gli attuali materiali, lo sappiamo bene, possono tradirti in ogni momento”.

L’avvocato Persio ha analizzato i principi che regolano la sicurezza, lui che a febbraio pubblicherà un vero e proprio manuale, con tutte le delibere FIS e FISI, edito da Minerva e intitolato “Sciare Sicuro”. “Non si può prescindere dalla cultura della sicurezza, le norme sono quelle relative al decreto 40 del 2021 e il primo principio fondamentale è mettere lo sciatore in condizioni di sciare in sicurezza lungo tutto il percorso, con la protezione da parte del gestore dell’impianto.

Un concetto generale che riguarda tutti gli sciatori, per l’attuale situazione che deriva dal primo intervento del 2003 con una specifica legge (l’Italia è l’unico paese dell’arco alpino ad averla promossa) che ha fatto capire come ci fosse l’impellenza dettata dal numero elevato di incidenti, ovvero 40mila l’anno a fronte della circolazione di 3 milioni di sciatori.

Siamo intervenuti a livello governativo con una commissione introducendo l’assicurazione obbligatoria, così come quella del casco e tanto altro”.

Adolfo Lorenzi, che ha perso Matilde 14 mesi fa, con la sua famiglia ha presto avviato il grandioso progetto della Fondazione Matilde Lorenzi e, un anno dopo la scomparsa della figlia, ha annunciato la riapertura del caso da parte della Procura di Bolzano: “Abbiamo fatto quel comunicato (a fine ottobre, ndr) e pensiamo che questo atto servisse per due aspetti – ha sottolineato ieri sera in diretta – Per rendere onore a Matilde, visto come erano state lasciate le cose, e perché la base della nostra Fondazione nasce per sviluppare e migliorare la sicurezza per gli atleti in allenamento.

E’ quello l’aspetto lasciato indietro, non esiste nessuna regolamentazione: noi siamo partiti da un foglio bianco e pensiamo che si possa creare una cultura che manca, dai maestri agli allenatori, sino ai gestori delle piste, con una formazione specifica e l’utilizzo dei dispositivi di sicurezza”.

Xavier Jacobelli, giornalista con esperienza decennale a vari livelli, ha approfondito il tema della riapertura dell’indagine, analizzando dalla memoria difensiva presentata come ci siano state “incongruenze nelle prime indagini, come non aver sentito alcuni testimoni, tra cui il secondo allenatore di Matilde, non aver effettuato l’autopsia, non aver sequestrato il luogo dell’incidente, e neppure aver acquisito il video dell’impatto. Come è possibile tutto ciò?”.

“Non ci aspettiamo nulla di trascendentale – ha risposto Adolfo Lorenzi – ma solo che venga fatta chiarezza su quello che è successo, e che sia possibile chiarire le cause. Non cerchiamo colpevoli, crediamo che ora la procura stia facendo un lavoro egregio, con il primo incidente probatorio.

La morte di Matteo Franzoso ci ha provocato un dolore immenso, per noi era un ragazzo di casa, cresciuto assieme a Lucrezia nello Sci Club Sestriere e ancora adesso sempre pronto a condividere le nostre attività con la Fondazione. Quello che ci ha rammaricato è che come Fondazione Matilde Lorenzi non siamo arrivati in tempo: ora abbiamo 8 ragazzi che lavorano al 100% per il progetto avviato con il Politecnico di Torino in collaborazione con quello di Milano, non ci fermeremo”.

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