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Andrea Giovannini, il volto vincente della pista lunga: “Il percorso è quello giusto”

Andrea Giovannini, il volto vincente della pista lunga: “Il percorso è quello giusto”
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Tribune News Service

Speed SkatingSpeed Skating - Intervista

Andrea Giovannini, il volto vincente della pista lunga: “Il percorso è quello giusto”

Destinato a vincere. Di Andrea Giovannini, pattinatore trentino che vive a poca distanza dall’ovale di Baselga di Piné, si può dire che abbia il ghiaccio nel suo DNA. Nato nel 1993, è una dei più promettenti talenti emersi dallo speed skating azzurro in questi anni di transizione dopo i trionfi ai Giochi di Torino 2006.

Riconosciuto come emergente di grandi potenzialità, da una stagione si è affacciato nella categoria Senior dopo essersi eretto a protagonista assoluto da Junior – nel 2013, ai Mondiali di Collalbo, vinse l’oro nel Team Pursuit, un argento nei 5000 metri individuali e il bronzo in classifica Allround: nessun italiano era mai salito sul podio generale. Ma la crescita dell’atleta tesserato per le Fiamme Gialle l’ha condotto verso un sigillo – inaspettato anche se auspicabile nel tempo - che il movimento maschile della pista lunga attendeva dal 2009: una vittoria in Coppa del Mondo dopo cinque anni dall’ultimo trionfo del campionissimo Enrico Fabris.

Giovannini ha infatti vinto la Mass Start - disciplina che dovrebbe entrare nel programma a cinque cerchi - disputata a Seul domenica scorsa. Un successo netto e di forza sulla concorrenza agguerrita, che ha così riportato il tricolore sul podio più alto della World Cup ISU. Insomma, il weekend scorso è senz’altro quello più indimenticabile – finora - della sua carriera. Il pinetano si candida prepotentemente per un ruolo da protagonista internazionale sulle lame in pista lunga. Intanto non c’è molto tempo per godersi la prima vittoria e l’ingresso nel gruppo A – per la prima volta in carriera - nella sezione riservata ai 5 e 10 mila metri, dopo i brillanti risultati nelle prime due tappe asiatiche a Obihiro e Seul. Alle porte ci sono i prossimi due appuntamenti di Coppa 2014-15 – 5-7 dicembre a Berlino e nel fine settimana successivo a Heerenveen – e l’azzurro si è raccontato a Neveitalia. Rivelando le sue aspettative e i programmi in vista delle prossime Olimpiadi invernali di Pyeongchang. Nel 2018 conta di essere all’apice della carriera. E chissà, potrebbe iscrivere il suo nome dopo quello di Fabris anche in chiave olimpica. Ci sono quattro stagioni per lavorare e crescere.

 

Andrea, come vede la vittoria nella Mass Start di Seul utilizzando un’ottica più ampia? Se da una parte è arrivata la prima gioia tra i “big”, può essere considerata come il completamento di una carriera giovanile molto soddisfacente? Oppure rappresenta una base di avvio?

«Non la vedo come un arrivo. Forse più come una riprova nel percorso che stiamo intraprendendo e che dura quattro anni, verso le prossime Olimpiadi invernali. Siamo sulla strada giusta. Ed è per questo che mi piace definirla più che altro una vittoria di conferma. So che posso migliorare ancora molto in vista di Pyeongchang e non può essere un punto di arrivo quanto fatto finora».

La sua gara di Seul è sembrata costruita alla perfezione. Ha utilizzato una tattica ben programmata?

«C’era un’idea iniziale: provare a fare il primo sprint intermedio per prendere qualche punto e vedere come si potesse sviluppare la gara, puntando forte sulla volata finale. Al primo sprint con i cinque fuoriusciti con me, ho visto che il gruppo non reagiva molto. Allora ho parlato con Linus Heidegger, l’austriaco in fuga, che ha poi proseguito con me nell’allungo. Siamo andati avanti in accordo senza sprecare troppe energie. Ai meno due giri dalla fine ho visto che lui era abbastanza stanco e il gruppo rinveniva. Così ho deciso di attaccare. È andata bene e mi sono stupito per come sono andato via di forza. Ciò mi dà ancora più fiducia in me stesso e nelle mie potenzialità».

Era la sua quarta Mass Start in Coppa Senior e ha fatto centro. Non male.

«Da Junior ne avevo già disputate altre, ma ero riuscito a vincere sempre in maniera differente. C’era solo uno sprint intermedio e si girava su 12 giri. Da quest’anno ci sono meno tornate – 16, ndr - e si gira anche interni. Fare le curve diventa molto più difficile. Perciò sono ancora più contento per il risultato».

Quando è arrivato il momento in cui si è detto: “Ok, ce l’ho fatta!”?

«Ho avuto la certezza di vincere solo quando ho tagliato il traguardo. Perché anche quando ho staccato l’austriaco, ho visto il gruppo in recupero alle mie spalle. E la paura di essere ripresi c’è sempre. Da Junior, infatti, avevo subito il precedente in cui mi superarono negli ultimi dieci metri in una situazione simile. Così, anche a Seul, a cinque metri dall’arrivo non ero ancora sicuro di vincere. Per fortuna è andata bene».

E subito dopo è arrivata la sua dedica speciale a mamma Bruna.

«Sì. È stato verso di lei il mio primo pensiero. Purtroppo è scomparsa a maggio per via di un male incurabile. Penso che in questa vittoria il destino e lei ci abbiano messo una parte. E il merito di questo successo è anche suo. Perché in gara ci ho messo quella cattiveria agonistica uscita fuori al momento giusto. Anche per quello che è accaduto in questi mesi. Volevo e voglio riuscire anche per lei. Il mio sogno era anche il suo sogno e sono certo sia felice come me per i risultati che sto avendo».

Vuole dedicare a qualcun altro il suo trionfo di Seul?

«Senza dubbio alla mia ragazza Linda Bortolotti, che tra l’altro pattina anche lei ed è aggregata alla squadra nazionale, ma è più giovane. È stata al mio fianco in questi mesi difficilissimi. E avere la sua vicinanza mi ha aiutato moltissimo. Oltre a lei, e non solo a livello sportivo, devo ringraziare i miei allenatori Giorgio Baroni e Stefano Donagrandi. Anche loro mi hanno sostenuto, aiutandomi e passando del tempo insieme durante il periodo di malattia di mia madre. Con loro andavo spesso in bici anche solo per sfogarmi. E devo dire che la loro presenza mi è servita molto. Sono stati fondamentali in quel periodo».

Parlando in generale della Mass Start, c’è da dire che è entusiasmante sia per chi la segue sia per chi la disputa…

«Sì, è una corsa davvero divertente. Anche il contatto in gruppo aggiunge bellezza alla Mass Start. I traguardi intermedi e la volata finale sono cose che fanno divertire soprattutto noi atleti. In uno sport come il pattinaggio in pista lunga, dove si fanno gare in solitudine, è qualcosa che serve davvero tanto. Anche per coinvolgere il pubblico, che non può far altro che divertirsi dalla sua spettacolarità. Servirà al nostro sport».

In che modo influisce e come attuate solitamente il gioco di squadra?

«Può aiutare molto. Per adesso la disputiamo io e Nicola Tumolero. E abbiamo un’ottima conoscenza reciproca. Prima di tutto siamo amici, avendo un anno d’età di differenza, abbiamo disputato gli stessi Campionati a livello Junior e c’è intesa sul ghiaccio. Ci fidiamo l’uno dell’altro e avere queste qualità comuni non può che aiutarci in una gara come la Mass Start. Altre nazioni, ad esempio, non hanno questa fortuna: ci sono atleti che fanno gara separata. Prima della gara pensiamo a una tattica. Poi, durante la gara, ci sono molte variabili improvvise ed è importantissimo intendersi velocemente. Per questo confermo che la nostra amicizia, stima e fiducia sono dei valori aggiunti».

Oltre alla Mass Start quali sono le distanze su cui punterà forte nel presente e nel futuro?

«Senz’altro. Punto molto sui 5000 metri – dove ha ottenuto il secondo posto alla prima uscita stagionale, in gruppo B, ndr - che sono distanza più congeniale alle mie caratteristiche. I 10 mila sono, adesso come adesso, quasi troppo lunghi per me. In futuro arriverò a farli bene. Ma sicuramente per questo quadriennio, la mia distanza forte è la prima. Ora sono anche riuscito a qualificarmi per entrare nel gruppo A e mi sono garantito la qualificazione – con il decimo posto nei 10mila a Seul – ai prossimi Mondiali su distanza singola. Sarà molto interessante avere la possibilità – già da venerdì prossimo a Berlino, in Coppa – di partire con i migliori. Un modo efficace per misurare subito il mio livello. Sarà la mia prima volta con i big».

Cosa si aspetta da questo nuovo ruolo che la vede al fianco dei più forti? Si ritaglierà un posto nelle gare pomeridiane: sarà un’altra cosa.

«Oltre agli avversari, c’è una variante importante: il pubblico. Quando gareggiano i più forti, ovviamente, anche le tribune sono piene e c’è più seguito. Ti può dare una carica maggiore. Poi sapere di avere un confronto diretto con campioni del calibro di Sven Kramer e altri, ti sprona maggiormente per dimostrare ciò che vali. Questo è solo un altro dei passi del percorso che portano a Pyeongchang. Dove conto di arrivare giocandomela con i migliori».

In realtà, però, a Berlino non sarà proprio la prima volta che gareggerà con i più grandi….

«Sì, in effetti è già successo alle Olimpiadi di Sochi (dove partecipò ai 5000, ndr). Sicuramente è stata un’esperienza che mi servirà molto per il 2018. Ho già potuto capire che cosa sono i Giochi, toccando con mano l’atmosfera olimpica. Tra quattro anni potrà aiutarmi senz’altro a stare più tranquillo. In ogni caso saprò già cosa mi aspetta e non avrò la tensione della prima volta».

Parliamo della vita di voi pattinatori di pista lunga. Purtroppo siete abituati a stare per molto tempo lontani da casa per scelta, ma dall’Italia anche per necessità?

«Si, per esempio siamo rimasti in ritiro a Inzell, in Germania, fino a fine ottobre per allenarci sul ghiaccio. Com’è noto, in Italia non abbiamo una pista al coperto, quindi siamo obbligati ad andare altrove fuori dalla stagione invernale. L’abbiamo fatto anche prima di partire per l’esordio in Coppa – il 14 di questo mese a Obihiro – perché il meteo non consentiva di allenarci bene all’anello di Piné. Pioveva e allenarsi sul ghiaccio quando piove è completamente diverso rispetto al pattinare su una pista al coperto per la Coppa del Mondo. I risultati, nonostante ci fossimo dovuti spostare più volte, si sono visti comunque. Ma è proprio per questo che poter avere una pista indoor in Italia diventa fondamentale per poter crescere».

Pensando a ciò che è arrivato nell’ultimo anno nonostante queste difficoltà logistiche, il risalto dei risultati potrebbe far migliorare le cose?

«L’ultima vittoria è stata la mia, ma pensiamo a Francesca Lollobrigida – vincitrice della Coppa di specialità 2013-2014 della Mass Start donne – e Mirko Giacomo Nenzi, finito un anno fa sul podio di Coppa nei 1000 metri ad Astana, spero possano servire per dare un po’ risalto e a migliorare la situazione. Lo ripeto: più si va avanti e più è fondamentale avere una pista indoor. Competere con le altre nazioni, che hanno almeno una pista sempre a disposizione, diventa davvero difficile.

Un miglioramento costante nel tempo, il suo. Su che cosa ha lavorato nell’ultimo periodo?

«Il mio percorso tecnico, sin da quando ero nella categoria Junior, si è portato avanti sempre e costantemente di anno in anno. Dall’anno scorso a oggi, credo che il miglioramento sia dovuto principalmente alla preparazione estiva. I tecnici Baroni e Donagrandi, mi conoscono molto bene perché mi seguono da anni. Per il futuro, invece, credo di poter migliorare ancora a livello tecnico. Per questo avere una pista indoor diventa basilare. La pattinata che si attua nelle piste di Coppa è diversa da quella che si può avere all’aperto di Baselga dove il ghiaccio è più lento. Inoltre devo lavorare anche a livello muscolare nei prossimi anni. Lavorando con gradualità, come sto facendo ora, sono fiducioso sul fatto che potrò arrivare in alto. Abbiamo quattro anni per poterlo fare».

In che modo cambiano le cose tra un allenamento indoor e outdoor?

«Non è molto diverso. Ma pattinare a una velocità superiore va a portare qualche modifica ai caricamenti. E poi si fa più fatica a correre la stessa distanza fatta a velocità superiore rispetto a una pista all’aperto, col ghiaccio più lento e con un’andatura minore. Ad esempio, posso fare i 5000 con giri a ritmo di 30 secondi. A Baselga devo impostare i ritmi diversamente, perché se sono all’aperto so già che girerò più lento di un secondo. Quindi uniformare la preparazione è per forza importantissimo».

Inevitabile accennare al paragone eccellente con un grande del pattinaggio mondiale. Dopo cinque anni senza vittorie per un azzurro, è stato definito il possibile successore Enrico Fabris. Un confronto azzardato?

«Il paragone mi riempie di piacere e fiducia. Enrico Fabris è la fonte d’ispirazione per qualsiasi atleta italiano che abbia pattinato o che pattina su ghiaccio. Quindi non può che essere un onore e aspiro a ripercorrere le sue tracce e i suoi successi. Lui è nello staff azzurro e segue la squadra B, quindi ci sono occasioni in cui condividiamo il ghiaccio. Sicuramente la sua opinione è sempre importante per noi atleti. Poi, però, sono di certo diverso da lui e vorrei essere più che il nuovo Fabris, soltanto Andrea Giovannini».

Tra le imprese olimpiche di Fabris, c’è stato l’oro con Anesi, Donagrandi e Sanfratello nell’inseguimento a squadre. Proprio quella gara è stata il grande rammarico di Sochi, con la mancata qualificazione. Oggi lei è la colonna portante per ricostruire un gruppo?

«È una gara storicamente favorevole all’Italia. Abbiamo accettato la sconfitta dell’anno scorso e puntiamo tutto in vista di Pyeongchang. Sono stati fatti dei cambiamenti dall’anno scorso: Matteo Anesi ha smesso di pattinare, ma sono arrivati atleti nuovi come Nicola Tumolero e Andrea Stefani che ci aiuteranno molto a crescere, oltre a Luca Stefani. Poi magari anche Nenzi inizierà a cimentarsi in questi quattro anni. Alla prima stagionale siamo arrivati settimi, ma sappiamo che sono stati commessi degli errori. Possiamo però valere almeno il quinto posto mondiale, superando squadre che ci sono finite davanti come Giappone e Austria. La stiamo mettendo pian piano a posto, ma noi all’Inseguimento a squadre teniamo davvero molto. Sappiamo anche che è una gara in cui curare i dettagli come i cambi vuol dire recuperare molti decimi a livello cronometrico».

Come passa il suo tempo libero?

«Devo dire che vivo di pattinaggio sono a 360° e mi dedicherò esclusivamente a quest’attività per ora. Poi, di hobby ne ho, ma sono assolutamente concentrato sul ghiaccio. Il mio tempo libero lo dedico a impegni sempre sportivi. Provo diversi sport perché ne sono innamorato. La bici mi piace molto, ci vado sempre anche al di là degli allenamenti e penso che non la abbandonerò mai. Poi però c’è sempre il pattinaggio lo vedo anche come un hobby: anche se gli allenamenti sono duri, mi diverte tantissimo pattinare».

Il Trentino, la tua terra natia, offre tante salite. Ne preferisce qualcuna in particolare?

«Mi piacciono tutte le salite in generale e qua nei dintorni di Baselga di Piné ce ne sono davvero tante. Mi piace affrontare in particolare il passo di Manghen: oltre 20 km di lunghezza e ci divertiamo a farla anche in allenamento».

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