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Arianna Fontana vuota il sacco: "Dotti e Cassinelli, erano loro a volermi fare cadere. Sui tecnici..."

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Short Trackl'intervista

Arianna Fontana vuota il sacco: "Dotti e Cassinelli, erano loro a volermi fare cadere. Sui tecnici..."

In un'intervista concessa al "Corriere della Sera", la campionessa olimpica tuona nuovamente su compagni, allenatori e federazione. "Se non mi interessasse la squadra come dice qualcuno, oggi starei zitta, ma l'ambiente è tremendo, i giovani vogliono smettere e io altri quattro anni così non li faccio".

E' una situazione che si trascina da anni, come conferma lei stessa, e stiamo parlando della più grande campionessa nella storia dello short track italiano e una delle leggende azzurre nell'intero panorama delle discipline invernali, tanto da aver battuto a Pechino (con un oro e due argenti al collo) il record di Stefania Belmondo ai Giochi Olimpici in termini di medaglie, salendo a quota 11 nella sua quinta avventura a cinque cerchi.

Sogna Milano-Cortina 2026, ma Arianna Fontana attendeva dalla FISG un segnale che non è arrivato, anzi il presidente Andrea Gios (che va verso la rielezione, il prossimo 19 marzo) ha parlato in maniera molto chiara al termine delle Olimpiadi, definendo la fuoriclasse valtellinese un'atleta che ha rovinato l'ambiente della nazionale e che non avrà, alla guida del team azzurro, il suo coach personale Anthony Lobello, che è anche il marito di Arianna.

Quest'oggi, il “Corriere della Sera” ha pubblicato un'intervista di... fuoco e ghiaccio, che Fontana ha concesso alla giornalista Gaia Piccardi. Facendo pure nomi e cognomi di quei colleghi maschi che aveva già accusato a Pechino di aver tentato di farla cadere in allenamento, anni prima: si tratta di Tommaso Dotti e Andrea Cassinelli, entrambi sul podio olimpico (nel caso del secondo, due volte visto che era in squadra con Fontana nell'argento della mista) con la staffetta di bronzo. “Hanno detto che non sono una leader, che ho spaccato la nazionale – comincia la stella azzurra - Non sono mai stata una da grandi discorsi: faccio parlare i risultati. Essere sul ghiaccio da 16 anni è un modo di essere leader e, se non mi interessasse la squadra, oggi starei zitta.

È dal 2010 che vivo male certe situazioni con gli allenatori. Mi stavano trasformando in una fondista: avevo quasi perso le mie doti di sprinter. In avvicinamento a Vancouver, ho imparato a gestirmi da sola. Dopo le Olimpiadi in Canada, i tecnici sono Eric Bedard e Kenan Gouadec, coppia formidabile che dura poco. Da Sochi 2014 in poi, rimane solo Gouadec. Deve gestire 15-20 atleti, troppi: Anthony Lobello, ex pattinatore nel frattempo diventato mio marito, si offre di dargli una mano. Ti faccio il ghiaccio e le lame, propone. Cose pratiche, non di allenamento. “Non avrai mai niente a che fare con il team”, si sente rispondere.

Ci rimaniamo malissimo, tanto che Kenan era al nostro matrimonio. Da lì in poi, le cose peggiorano e lui stesso è spesso in ritardo, a volte non lucidissimo: non è più lui. Scema la fiducia di tutta la squadra e Sanfratello (oggi segretario generale della FISG) sa tutto. Mi rendo conto che devo trovare una soluzione e alla fine di una lunghissima riflessione, scelgo Anthony come allenatore”.

Fontana continua nel racconto di anni travagliati: “Nel maggio 2017, Anthony diventa ufficialmente il mio tecnico. Sul ghiaccio lavoro con Gouadec, fuori con mio marito. Kenan non la prende bene, inizia a fare un ostruzionismo sciocco. Mi metto il paraocchi e tiro dritto verso PyeongChang 2018: c'è il primo oro individuale da vincere e in Corea il lavoro paga (con il titolo nei 500 mt, come a Pechino). Rientrati in Italia, il Coni ha un'idea: Anthony c.t. delle ragazze. Sei sprecato a lavorare solo con Arianna, gli dice Sanfratello, ma quando lui chiede di impostare a modo suo il quadriennio olimpico, chiede autonomia, espone la sua visione fatta anche di umanità e sensibilità, l'accordo salta e la Federghiaccio ritira la proposta.

Eppure siamo atleti, non macchine. Gouadec diventa d.t. ma gestisce la squadra dall'Australia; per una stagione arriva un americano, poi un francese, Ludovic Mathieu. Siamo a Baselga di Pinè, il presidente Gios mi propone di riunirmi al gruppo. Anthony è netto: Mathieu non ha capito nulla di Arianna, le strade restano separate. Quello che succede poco dopo a Courmayeur gli dà ragione – e qui Fontana svela definitivamente quando accaduto 3 anni fa - Mathieu mi chiede di pattinare con i ragazzi: Tommaso Dotti e Andrea Cassinelli si mettono a fare tracce pericolose davanti a me, cambi di direzione, accelerano e decelerano. Roba pericolosa. Parlottano, è palese a tutti: vogliono farmi cadere. Diventano sempre più aggressivi, io mi tengo a distanza, finisco l'allenamento, me ne vado.

Alla riunione tecnica del giorno dopo, ammettono: non ci sta bene che ti alleni con noi. Mi aspetto conseguenze, invece la Federazione butta il problema su mio marito: dà fastidio vederlo sul ghiaccio. Morale: Cassinelli smette, ma Dotti continua con i suoi giochetti per tutta la stagione. Un ambiente tremendo. Ogni giorno mi sveglio con l'angoscia e il mal di stomaco, chiedendomi: oggi cosa succederà? Cosa faremo io e Anthony di sbagliato? E il giorno del contatto tra me e Dotti, naturalmente, arriva: vado dritta contro le balaustre a 50 all'ora, la caviglia si gonfia.

A Salt Lake City, in Coppa del Mondo, per precauzione rinuncio alla staffetta. Gios mi manda a dire che o partecipo o faccio le valigie. Sempre lui, a Pechino, ha detto che i ragazzi sono gli sparring partner ideali per crescere, che dovrei ringraziarli. Quindi il contatto in piena velocità con un uomo che pesa venti chili più di me sarebbe utile? Ma di cosa stiamo parlando? In Giappone Dotti ci riprova: accelera, io imposto la traccia in modo da bloccarlo, a fine allenamento le altre azzurre vengono da me a congratularsi. A un anno da Pechino, la FISG cambia di nuovo c.t.

Dal Canada arriva Fred Blackburn. Penso: finalmente uno bravo con cui impostare il lavoro. Concordiamo gli allenamenti in funzione della staffetta: due mesi prima dei Giochi se ne va e torna Gouadec. Tutto assurdo. Il vero problema è che un atleta ha il diritto di allenarsi in un ambiente sereno, il nostro invece è tossico: nel linguaggio, nei pensieri, negli atteggiamenti da bulli di certi colleghi. Tutti hanno paura di esprimersi, ci sono giovani appena entrati in squadra che vogliono già smettere.

È importante che l'atleta venga ascoltato, non usato come mezzo per arrivare alle medaglie. C'è un tema di cultura sportiva da cambiare: in Italia è un asilo, manca professionalità. Io a Milano-Cortina 2026 ci vorrei arrivare, chiudere ai Giochi italiani come ho iniziato sarebbe una favola, ma altri quattro anni così non li faccio”.

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