Giorgio, torniamo a quella notte di Campiglio? A tutto Rocca, 20 anni dopo: "Gli SMS di Tomba, mio figlio al parterre..."

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Giorgio, torniamo a quella notte di Campiglio? A tutto Rocca, 20 anni dopo: "Gli SMS di Tomba, mio figlio al parterre..."

Abbiamo intervistato il campione livignasco, non solo per celebrare il ventennale dall'ultima vittoria azzurra sul Canalone Miramonti: con Giorgio Rocca andiamo dall'analisi sullo stato di salute dello slalom azzurro ("Vinatzer deve lavorare sulla parte mentale") al nuovo tentativo di Hirscher ("lo stimo tantissimo, ma non può tornare al vertice"), sino alle sfide olimpiche nella sua Valtellina. "Bormio non sarà una gara banale, a Livigno è stato fatto un lavoro pazzesco che servirà per il futuro". E tanto, tanto altro nella chiacchierata con il plurimedagliato mondiale.

Giorgio Rocca è stato il simbolo dello slalom tricolore nei primi anni post era Tomba, un campione capace di vincere undici volte in Coppa del Mondo, di conquistare la sfera di cristallo di specialità nella magica annata 2005/06 dei cinque successi consecutivi (prima dell’amarezza olimpica che nulla può togliere ad un inverno stratosferico), oltre a tre medaglie di bronzo ai campionati del mondo, combinata compresa nella rassegna di casa, Bormio 2005 (dopo il primo podio iridato a Sankt Moritz nel 2003).

Cinquant’anni festeggiati lo scorso 6 agosto, la stella livignasca vive assieme al comitato organizzatore della 3Tre l’avvicinamento allo slalom di Madonna di Campiglio, previsto sul Canalone Miramonti il prossimo 7 gennaio e che sarà ancora più speciale visto che ormai siamo al ventennale dall’ultimo hurrà azzurro nella “night race” trentina, quello proprio di Rocca del 12 dicembre 2005.

E allora, tra il volo a Londra della scorsa settimana e la seconda tappa del “3Tre on Tour” prevista proprio questa sera a Milano, abbiamo intercettato Giorgio per una lunga chiacchierata sui tanti temi del grande sci, ripartendo però da quei dolcissimi ricordi che il campione valtellinese ha sempre riassunto con un concetto molto chiaro. “Campiglio resta la vittoria più bella della mia carriera”.

Quella sera furono Raich e Palander ad accompagnarti sul podio della 3Tre, eri diventato papà da poche settimane (il primogenito Giacomo nacque il 21 novembre 2005, ndr): che tipo di emozione ti regalò quello slalom nel mezzo della tua strepitosa striscia vincente.

“Avevo la famiglia con me in camera, era un po’ strano perché il bambino stava per vivere la sua prima gara, se penso che ora va all’università è strano. Era arrivata l’ora di prendermi Campiglio, dopo due secondi posti, stavo bene ed ero sereno, con la capacità di rimanere concentrato su quello che dovevo fare. Ricordo l’affluenza pazzesca della gente, mi dissero che sarebbero stati più di diecimila visto che avevo già vinto in stagione, proprio quella sera si iniziava a vedere in piccola parte quello che portava Alberto (Tomba, ndr) sul Canalone Miramonti. Lui era il mio idolo ed è diventata poi un’abitudine ricevere i suoi SMS tra una manche e l’altra.

Ero quarto dopo la prima (a 27 centesimi da Benni Raich, ndr), con un po’ meno stress; mi sono subito reso conto dell’ottima 2^ manche, la pista era preparata alla perfezione con un grip pazzesco, poi quella nevicata ha reso tutto magico, anche perché con l’illuminazione artificiale si vedeva comunque benissimo”.

Tecnicamente, quanto fu difficile in confronto ad altre tue grandi vittorie?

“Posso dire che Atomic mi dava realmente un aiuto super, pensa che siamo andati in Argentina con 37-38 paia di sci da slalom per cercare quello giusto per ogni condizione. Avevamo una sintonia perfetta, vedevi la passione della gente al lavoro e mi fidavo ciecamente: a quel punto, gli avversari cercavano di capire cosa avessi in più, non è che con Raich e Palander ci fossimo poi scambiati chissà quali considerazioni nel post gara, a parte i complimenti. Quando vinci così tanto, inizi a stare anche sulle balle!”.

Il tuo rapporto con il comitato organizzatore guidato da Lorenzo Conci è poi diventato molto speciale con il tuo ruolo di ambassador dello slalom simbolo dello sci italiano.

“Dal 2012, l’anno in cui Campiglio è tornata in pianta stabile nel calendario di Coppa del Mondo, mi hanno subito proposto un coinvolgimento sul piano della comunicazione e posso tranquillamente dire che, al di là del rapporto lavorativo, ho trovato una famiglia e il fatto che fossi già così legato da quel ricordo della 3Tre ha fatto il resto. E’ la località italiana che mi ha dato la maggior notorietà, assieme alle gare dei Mondiali a Bormio”.

Ricordiamo bene quando in gigante arrivasti anche al 9° posto su una pista durissima come la Gran Risa (nel 1998, ndr): hai mai creduto davvero nel progetto polivalenza o comunque con una seconda specialità “forte”?

“Nel 1999 ero tra i primi 15 al mondo, ma con l’evoluzione degli sci è diventato tutto più complicato, io mi sentivo competitivo sul difficile e con ghiaccio, diciamo nelle condizioni più da slalom. Non ero male neppure in discesa, che mi serviva per le combinate dei grandi eventi (col bronzo iridato a Bormio 2005 e la medaglia olimpica sfiorata a Torino 2006), la polivalenza mi piaceva e al tempo stesso mi distraeva, perché lo slalom dopo un po’ diventa anche noioso visto che, se non fai almeno 25mila pali all’anno, non puoi stare al top”.

Il ritiro annunciato nel tempio di Kitzbuehel, dopo l’infortunio all’adduttore rimediato in allenamento, perdendo così l’ultima chance olimpica di Vancouver, quanto ti ha pesato? Avevi cominciato bene quella stagione con gli ottavi posti di Levi e Alta Badia…

“Ero competitivo, anche se il ginocchio destro, quello operato nel 1996, mi faceva un male cane. Ad un certo punto ti rendi conto che è arrivata l’ora, col senno di poi le condizioni che c’erano a Vancouver forse mi avrebbero fatto faticare, ma ci credevo. E di colpo mi sono trovato a commentare Razzoli e il suo oro, un incrocio del destino visto che Giuliano aveva fatto l’apripista a Torino”.

Si parla tanto di ritorni dopo quello di Pinheiro Braathen, di Vonn e Hirscher. A proposito dell’otto volte vincitore della Coppa del Mondo, che idea ti sei fatto? Hermann Maier ha detto di credere ad un suo possibile successo anche in chiave olimpica (QUI le dichiarazioni di “Herminator”, ndr).

“Io non ci ho mai pensato a farlo, quando è finita è finita, ma è chiaro che vuoi sempre primeggiare e nei primi anni post ritiro ti rimane quel desiderio, la testa vuole una cosa e il corpo un’altra. Se mi chiedi di Marcel, che ai suoi inizi ho anche “bastonato”, ti dico che lo stimo moltissimo per tutto quello che ha fatto, davvero un grande, ma le cose non possono essere quelle di prima. Innanzitutto per l’età, in seconda battuta per l’evoluzione del materiale e quindi della tecnica: lui scia ancora come 6 anni fa, il cambiamento è stato troppo grande e bisogna già considerare che lui aveva uno stile tutto suo. Lo stesso Braathen, che di fatto non ha mai smesso di sciare anche nella stagione ai box, con un’altra carta d’identità ha comunque faticato a tornare alla vittoria. E parliamo di un fenomeno”.

Con la tua GR Mountain, apprezzatissima scuola di sci, gli impegni non mancano.

“Lo zoccolo duro è quello, poi c’è la parte legata alle Olimpiadi che ci sta dando buone risposte, come società che organizza attività outdoor non solo per lo sci. E poi ci sono i miei figli, anche se ormai viaggiano spediti con Francesco che studia a Birmingham, Tommaso che ha già debuttato in Coppa del Mondo nel Downhill (specialità della mountain bike, ndr) e Giacomo all’università, oltre alla piccolina di 9 anni che… non ha ancora provato gli sci. No, non ho mai voluto spingerli a fare il mio sport”.

Tornando all’agonismo, come vedi l’Italslalom che ha debuttato ieri a Levi… con tanta sofferenza?

“Conosco Mauro Pini, è sempre stato abituato a lavorare con le donne e anche per lui cambiano tante cose, ma si trova una situazione disastrosa, sul piano delle abitudini e dei ritmi. Ai ragazzi manca sicuramente un riferimento che vada forte, io nel dopo Tomba ero inizialmente l’unico, poi con Manfred, Razzo, sono cresciuti tutti. Alex (Vinatzer, ndr) purtroppo ha una incostanza pazzesca, dovrebbe lavorare di più sulla parte mentale piuttosto che di performance: non si è mai fatto male seriamente, non ha vissuto rivoluzioni in termini di materiali, deve fare meglio”.

Lo slalom olimpico maschile andrà in scena a Bormio, che conosci bene anche per quella sfida iridata del 2005. Una pista che non rientra tra quelle classiche del circuito e magari non viene considerata neppure troppo difficile, ma…

“Sarà impegnativa, invece, perché la parte alta è completamente diversa da quella bassa, dove se non vai sul piano non ne esci più, e la partenza è stata un po’ alzata. Certo non è una classica, ma con i dossi creati sarà uno slalom interessante e vi dico che anche la discesa cambierà molto, da dicembre a febbraio, in termini di visibilità e probabilmente col terreno meno duro”.

In queste settimane si parla molto di portabandiera e tedofori: ai Giochi di Torino 2006 gareggiavi ancora, ma leggesti il giuramento degli atleti e… ora quale ruolo sogni per Milano Cortina 2026?

“Il regista mi aveva messo una pressione pazzesca, dicendomi che semplicemente non avrei potuto sbagliare nulla. Il 30 gennaio porterò la fiaccola olimpica a Livigno, spero nel mio coinvolgimento per la cerimonia che si terrà nel mio paese e voglio dire che Livigno ha fatto davvero un lavoro pazzesco. Da noi la legacy sarà tale, perché è stata stravolta come destinazione turistica sfruttando questa grande occasione. Ne sono molto felice”.

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