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C'era una volta chi paragonava Dorothea Wierer a Magdalena Neuner...

C'era una volta chi paragonava Dorothea Wierer a Magdalena Neuner...
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BiathlonBiathlon - Analisi

C'era una volta chi paragonava Dorothea Wierer a Magdalena Neuner...

Nel corso dell'inverno si sono lette e sentite tante affermazioni. Fra di esse, è comparso anche un paragone fra Magdalena Neuner e Dorothea Wierer. Partorito non dall'uomo qualunque o dall'appassionato occasionale, ma da addetti ai lavori (o presunti tali). Vista l'illustre fonte, ci siamo sentiti in dovere di effettuare un'analisi in merito.

Va fatta una doverosa premessa. Non ci saremmo mai sognati di raffrontare la bavarese - una delle biathlete più grandi di sempre (se non LA più grande di sempre) - con l'altoatesina.

Quest'ultima sarà anche una delle donne più popolari del circuito attuale, ma non appartiene né alla categoria dei fenomeni (naturali come Neuner o costruiti nel tempo come Forsberg), né a quella delle fuoriclasse (Kati Wilhelm, Andrea Henkel, Tora Berger, Darya Domracheva, Sandrine Bailly per citarne alcune). Fa parte della classe delle ottime biathlete che, con molte sfaccettature, comprende almeno una trentina di nomi nella storia della disciplina.

Tuttavia se chi si occupa ogni giorno di biathlon azzarda determinati paragoni, allora è inevitabile effettuare un controllo in merito per verificare la bontà dell'impegnativa dichiarazione. Dunque, andiamo a vedere quanto raccolto in carriera da Magdalena e da Dorothea.



Carriera di Neuner (terminata a 25 anni) vs carriera di Wierer (26 anni). 

Il confronto non merita neppure un commento. Troppa è la differenza fra le due nonostante l'azzurra possa vantare un anno di carriera in più rispetto alla tedesca.

In realtà nessuna mente pensante potrebbe articolare il parallelismo sulla base del "Sì, Neuner era più forte sugli sci, ma al poligono Dorothea è meglio". Come dire "Sì la Mercedes F1 W07 di Hamilton e Rosberg è velocissima, ma la Smart è più agile e si parcheggia meglio".

Lo stucchevole paragone lancia però un interessante tema di riflessione a tutto tondo.

Perché mai in Italia, ogni qualvolta ci si trova di fronte a un proprio atleta di alto profilo (come nel caso di Wierer), ne si debba sempre ingigantire il valore? Il fatto sarebbe irrilevante se l'autore fosse il tifoso o l'appassionato medio, ma a lasciare basiti è vedere gli addetti ai lavori fare da battistrada in questa inquietante e irritante tendenza.

Il biathlon è solo l'ultimo sport contagiato da questo morbo, che si palesa all'istante nel momento in cui si iniziano a ottenere risultati di peso. Ne bastano un paio perché tanti cosiddetti esperti perdano completamente il lume della ragione (sempre che l'abbiano mai posseduto), lanciando il protagonista del momento nella mesosfera (il più delle volte senza paracadute) e trasformandosi talvolta in capi-ultrà degni della peggior Curva Sud.

Giusto per rimanere nell'ambito delle discipline invernali, nello sci alpino negli ultimi vent'anni si sarà succeduta una mezza dozzina di "Eredi di Tomba" ed "Eredi di Compagnoni". Ovviamente nessuno di essi si è minimamente avvicinato ad Alberto e Deborah.

È cronaca di questi mesi quanto fatto da Federica Brignone. Per lei è stata sufficiente una vittoria e mezzo per farne "una carta da Coppa del Mondo assoluta". Viene da chiedersi se l'affermazione tenga conto dei seguenti fatti:

1) È di un anno più anziana di Lara Gut, vincitrice della Sfera di cristallo, rispetto alla quale ha realizzato la metà dei punti

2) Ragazze venute al mondo due o tre anni dopo di lei, quali Wendy Holdener e soprattutto Cornelia Hütter, sono già al suo livello;

3) Mikaela Shiffrin, di cinque primavere più giovane, mette assieme qualcosa come 23 vittorie (compresi un oro olimpico e due iridati), mentre la valdostana ne somma 2.

Guardando alla combinata nordica, ancora ci si ricorda di chi la concepisse come un dualismo tra Jason Lamy-Chappuis e Alessandro Pittin, con il resto del campo partenti a fare da vassalli. A parte la clamorosa differenza di palmares tra i due, subito dopo aver partorito tale concezione, la disciplina è diventata terra di conquista di tedeschi e norvegesi.

Negli sport della neve e del ghiaccio il caso più eclatante riguarda però lo slittino con Dominik Fischnaller che, oltre alla definizione di "nuovo Zöggeler", viene perennemente soprannominato "Il prodigio" da parte di chi dovrebbe analizzarne le gesta.

Talmente prodigioso che a oggi ha raccolto ben due successi in prove di primo livello, mentre il circuito continua a essere dominato da Felix Loch che, oltre a fare incetta di Coppe del Mondo, sul podio dei Mondiali non viene accompagnato dal "prodigio", bensì da Semen Pavlichenko, Wolfgang Kindl e Ralf Palik.

Gli esempi in merito però si sprecano in ogni dove. 

Nel calcio, il più nazional-popolare degli sport, lo scorso anno dopo l'ottima stagione di Domenico Berardi tutte le testate sportive si affannavano a spiegarci come fosse "meglio di Messi" (testuale, come testimoniato ancora oggi dai motori di ricerca).

Infatti l'argentino a 22 anni vinceva le Champions League da protagonista, mentre il calabrese (oltre a essere regredito rispetto a dodici mesi orsono) milita in una squadra di centro classifica nella disastrata Serie A odierna.

Nell'agosto 2014, quando agli Europei di nuoto Arianna Castiglioni conquista la medaglia di bronzo nei 100 rana, certuni addetti ai lavori hanno il coraggio di commentare il risultato con un perentorio "Ruta Meilutyte è avvisata", nonostante la lituana (coetanea della lombarda) avesse appena vinto la medaglia d'oro ai Giochi olimpici giovanili di Nanjing nuotando un tempo di ben 2 secondi migliore!

A fine 2010 Matteo Manassero, dopo alcuni mesi di grazia, veniva dipinto dai media come sicuro futuro vincitore di svariati Majors, nonché come uno dei più grandi sportivi italiani di tutti i tempi in pectore. Difatti dopo poco più di un lustro, il golfista in questione è letteralmente sparito dagli schermi radar (attualmente occupa la posizione numero 869 nel ranking mondiale).

Sorte simile per il tennista Gianluigi Quinzi, definito senza dubbio alcuno come "Il nuovo Nadal" perché faceva incetta di tornei giovanili (mentre alla stessa età lo spagnolo era già fra i primi 50 del mondo). Oggi Quinzi si barcamena attorno alla 450^ posizione della classifica mondiale, mentre alla sua età il maiorchino occupava saldamente la seconda ed era già in grado di vincere tornei del Grande Slam.

La lista potrebbe continuare all'infinito, ma in generale è composta da due tipologie di casi:

A) Un atleta vincente in età juniores viene automaticamente considerato un "fenomeno", o "Il nuovo [inserire nome di un fuoriclasse dello sport in questione]", o addirittura "Il salvatore della Patria" se la disciplina è in crisi, senza pensare che i risultati giovanili non sono garanzia di altrettanta fortuna tra i senior.

B) Un atleta fatto e finito viene elevato istantaneamente al piano dei leader mondiali della sua disciplina, saltando svariati passaggi nella scala gerarchica, grazie a un paio di successi di peso, nonostante questi possano essere ottenuti da almeno un'altra dozzina di suoi contemporanei.

Viene da chiedersi il perché di questo comportamento purtroppo dilagante sia fra chi dovrebbe fare informazione, sia tra chi dovrebbe essere un esperto della propria disciplina, in quanto l'ha praticata in passato. 

C'è forse una sorta di italico complesso di inferiorità diffuso verso gli sportivi del resto del mondo che deve essere colmato anche in maniera posticcia alla prima occasione? Difficile crederlo. Forse, più banalmente, si tratta di opportunità e convenienza.

Esaltare l'atleta serve a creare aspettativa, a generare hype per dirla all'americana. In questo modo si cerca di attirare l'attenzione di una maggiore fetta di pubblico per avere più seguito. Ormai non esistono più mezze misure e qualsiasi ambito non sia il top assoluto viene snobbato, pertanto il gioco dell'ingigantire il valore di un atleta è quello di far leva sulla parte più lontana dallo zoccolo duro (e di conseguenza più ignorante in materia) del potenziale bacino d'utenza.

D'altronde in una nazione dalla scarsissima cultura sportiva come la nostra in pochissimi conoscono il valore di un piazzamento, o la fatica dietro a esso, sapendo mettere ogni risultato nel giusto contesto. Questo ruolo dovrebbe spettare, appunto, all'addetto ai lavori o al tecnico di turno.

Se però questi vengono meno, è chiaro che si crea un cortocircuito in grado di dar vita a una realtà alternativa, in cui l'italiano/a è per diritto divino al livello dei migliori del mondo nonostante i fatti dicano altro.

Questo gioco però è una bolla o un boomerang. Funziona benissimo nel breve periodo, ma alla lunga il più delle volte esplode o torna indietro in tutta la sua violenza. Perché nella maggior parte dei casi l'atleta non è ai livelli descritti e di conseguenza non può mantenere le attese generate attorno a lui/lei.

Pertanto eventuali risultati che dovrebbero essere applauditi, perchè rappresentano il suo limite massimo, vengono considerati dai più un fallimento in quanto non corrispondono alle mirabolanti previsioni fatte dai cosiddetti esperti.

Non deve sorprendere poi leggere "Arianna Follis solo nona" quando ha appena ottenuto il miglior risultato in carriera in una gara distance a tecnica classica, oppure sentir definire "deprimente" la seconda prestazione della carriera di Federica Brignone tra i pali stretti.

Alla fine chi ci perde è sempre e solo l'atleta, perché il clima generato all'interno di qualsiasi disciplina assomiglia a quello che si potrebbe respirare durante un derby fra due squadre di club.

Inoltre, cosa ancor più grave, si arriva alla svalutazione della prestazione. Un top ten in Coppa del Mondo perde completamente di valore e il podio diventa il minimo sindacale. Questo genere di approccio lo si può avere eventualmente con i fuoriclasse. Gli Armin Zöggeler o le Stefania Belmondo della situazione, non certo con tutti.

Soprattutto, la dinamica più triste è un'altra. Chi diviene il bersaglio delle critiche da parte dell'auditorio becero è ovviamente l'atleta, non certo l'esperto o l'addetto ai valori che ne aveva gonfiato il valore. Costoro rimarranno in sella impuniti, pronti a pompare qualcun altro.

Quindi, non ci sarà da stupirsi o da essere delusi se Dorothea Wierer non diventerà Magdalena Neuner. Non è colpa sua se c'è chi da' fiato alla bocca usando il suo nome allo scopo di spararla grossa e avere un po' di notorietà per qualche giorno.

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